La leggenda della grotta della poesia, a cui crediamo fermamente, ci dà lo spunto necessario per potervi proporre alcune poesie dei più grandi poeti salentini.
Vittorio Bodini
il capogruppo dei futuristi leccesi, è un poeta che ha molto arricchito il panorama letterario del Novecento. Nato a Lecce, ha sempre vissuto un rapporto molto ambiguo con la sua terra, come si evince dalla poesia dedicata a Leuca. Un legame molto intimo per via delle sue origini, ma sofferto per la lontananza – ha vissuto per un periodo molto lungo in Spagna e in altre città italiane – e lo stato di abbandono in cui spesso versa il Sud.
Finibusterrae
Vorrei essere fieno sul finire del giorno
portato alla deriva
fra campi di tabacco e ulivi, su un carro
che arriva in un paese dopo il tramonto
in un’aria di gomma scura.
Angeli pterodattili sorvolano
quello stretto cunicolo in cui il giorno
vacilla: è un’ora
che è peggio solo morire, e sola luce
è accesa in piazza una sala da barba.
Il fanale d’un camion,
scopa d’apocalisse, va scoprendo
crolli di donne in fuga
nel vano delle porte e tornerà
il bianco per un attimo a brillare
della calce, regina arsa e concreta
in questi umili luoghi dove termini, Italia, in poca rissa
d’acque ai piedi d’un faro.
È qui che i salentini dopo morti
fanno ritorno
col cappello in testa.
Le mani del Sud
Hai fatto bene dice a non parlarmi del Sud del
Sud e delle sue brulle capre saltellanti
di scoglio in scoglio
O le pallide mani delle capre del Sud
Hai fatto bene dice a non parlarmi del Sud deL
Sud e delle sue capre per metà divorate
dallo StatO.
O le candide unghie delle capre del Sud
Hai fatto bene dice a non parlarmi del Sud del
Sud e dei suoi orizzonti un tempo aperti
da ogni lato
O le pallide unghie con cui ciascuno si dilania nel Sud
Hai fatto bene dice a non parlarmi del Sud del
Sud e dei suoi braccianti uccisi dalla
polizia
O le pallide mani un po' grassocce dei TribunalI
del Sud gli olivi dal cuore umano l'accusare
e accusarsi senza pietà Il grande Sud delle
questioni di principio
Hai fatto bene a non parlarmi del Sud
Amore, cosa chiamo con questo nome
io non sono più certo di sapere.
Se ricerco nel fondo ove s’immerse
il tuo quieto naufragio,
fra i denti degli squali, di quelle sabbie gelosi,
presto riemerge il mio pensiero nudo
al visibile giorno,
con le braccia ferite e qualche filo
d’alga sul corpo, o i ciechi segni d’una medusa.
Ma a sera, se col passo delle fiere
che convengono caute presso lo stagno,
fra gli azzurri veleni che mesce il cielo,
in me come a tremante vetro s’affacciano
le antiche colpe, o errori, o la presente
solitudine, oh allora, come sei
tu stranamente viva sulle mie labbra,
e che stupiti altari la mia voce
odono che si scolpa nelle tenebre
a mia insaputa: O amore, tu sapessi…